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Budapest nuova capitale economica italiana? Cosí sembra, almeno analizzando i dati recentissimi che confermano il numero esponenziale di aziende nostrane che operano in Ungheria: un impresa al giorno.
Ristoranti e bar Italiani lasciano il posto a fabbriche di piccole, medie e grandi dimensioni a guida italiana (circa 1.800 aziende).
In tutto il Paese si contano oltre 2.800 aziende italiane, il 62% delle quali ha trovato sede proprio a Budapest.
L’Ungheria viaggia ormai da anni su binari opposti alle politiche comunitarie.
Il primo ministro Viktor Orbán leader del partito al governo Fidesz (Unione Civica Ungherese) si e’ fatto portavoce e promotore di leggi approvate in parlamento che hanno creato un sistema di tribunali parallelo e governativo, e di una riforma del lavoro definita “legge sulla schiavitù”.
Due leggi molto controverse che hanno attirato critiche da tutta Europa oltre che proteste della popolazione.
Ma è la legge sul lavoro oltre che ai vantaggiosi sgravi fiscali che forse ha motivato di più gli imprenditori italiani a spostarsi verso il paese.
Nel 2010 le aziende italiane in Ungheria crescevano a un ritmo di 10 o 15 al mese, nel 2018 a quello di una al giorno.
L’imposta sul reddito delle società, infatti, ammonta al 9%. Impressionante se paragonata a quella italiana. A questo si aggiunge un’imposta locale che è una copia quasi esatta dell’Irap, pari al 2%, e un Irpef al 15%.
Il sistema fiscale si impernia su un’aliquota unica. Tutti, in poche parole, pagano il 9%, che si tratti di micro imprenditori o di colossi.
Lo stesso dicasi per l’Irpef. L’imposta sul reddito delle società in Ungheria è infatti tra le più basse dell’Unione Europea. Lo confermano i dati UE.
Al lordo delle tasse locali (come il nostro Irap), gli imprenditori in Ungheria pagano il 10,8%: un motivo piu che valido per spostare le attività nel paese dell’est.
Ma quali sono le aziende italiane che si trasferiscono? Cosa producono prevalentemente?
Le aziende italiane in Ungheria sono perlopiù piccole e medie imprese. Il settore trainante è sicuramente quello del commercio all’ingrosso e al dettaglio. Si contano infatti nel settore citato in tutto 1.066 imprese. Seguono poi le attività immobiliari (435), manifatturiere (336) e professionali (291).
Le imprese con oltre 250 dipendenti sono solo lo 0,5% del totale, una riproduzione quasi perfetta di quanto avviene in Italia.
La gran parte delle aziende produttive esporta prevalentemente verso la casa madre. Altre, invece, arrivano qui con fini prettamente commerciali, alla ricerca di uno sbocco sul mercato”.
Se le misure adottate dal governo strizzano l’occhio agli imprenditori, l’altra faccia della medaglia è però una politica aggressiva nei confronti del consumatore, con un’Iva al 27% (che si riduce al 5% per alcuni prodotti di prima necessità). I salari dei lavoratori, inoltre, rimangono tra i più bassi dell’UE, ancorati a una media di circa 650 euro al mese.